Biografia di Lino Lavorgna

Ho teso corde da campanile a campanile, ghirlande da finestra a finestra,
catene d'oro da stella a stella, e danzo.

Lino Lavorgna è nato a San Lorenzello, in provincia di Benevento, l’8 maggio 1955. Il suo cognome gli ha dato la possibilità di creare la metafora del “cavaliere errante”, figura simbolica che lo “accompagna” sin da giovinetto. L’anagramma, infatti, rimanda a “Galvanor”, celebre cavaliere della Tavola Rotonda (Galvano o Gawain), nipote di Re Artù. Da qui lo pseudonimo “Galvanor da Camelot”, con il quale ha firmato molti articoli durante la sua attività giornalistica. Trasferitosi a Caserta all’età di 13 anni, nel 1972 aderì al Movimento Sociale Italiano, di cui divenne subito dirigente provinciale, partecipando attivamente anche alle iniziative del Fronte della Gioventù. Nel 1975 si candidò alle elezioni comunali, funestate dalla tragica morte del fratello Luigi, avvenuta il giorno prima delle elezioni, il 14 giugno. L’impegno politico proseguì indefessamente, ma contrasti interni lo indussero a disertare la tornata elettorale del 1980. Nel 1982 fu eletto Presidente della Consulta Provinciale Corporativa, facente capo all’Istituto di Studi Corporativi, guidato dall’esimio Prof. Gaetano Rasi1.

Nel 1983 fu eletto segretario della sezione MSI di Caserta e nel 1985 si candidò alle elezioni provinciali e comunali, con ottime prospettive di successo. La forte opposizione interna, tuttavia, determinò il commissariamento della Federazione e della Sezione, la revoca della posizione di capolista al comune e lo spostamento in un collegio elettorale perdente. La sconfitta fu inevitabile, con dimezzamento dei consensi ottenuti nel 1980. La delusione per una politica sostanzialmente distonica rispetto a quella che, secondo lui, avrebbe dovuto caratterizzare un movimento di Destra,  lo indusse alle dimissioni da ogni carica. Mantenne solo relazioni culturali con gli ambienti della “Nouvelle Droite” francese (GRECE) e della “Nuova Destra” italiana.

Nel 1993 fu tra i fondatori di “Forza Italia” in Campania e fu nominato “Coordinatore del Club dell’Area Flegrea”. Dopo la vittoria politica alle elezioni del 1994, i club furono sciolti e Lino fu l’unico coordinatore a transitare nel ruolo “politico”, sempre come responsabile dell’Area Flegrea: Pozzuoli, Bacoli, Procida, Monte di Procida. Mantenne la carica fino al 1997, quando formalizzò ufficialmente quel distacco che, di fatto, era nell’aria da tempo. La nascita di "FLI" lo indusse a sperare che si fossero creati i presupposti per una “vera destra” e accettò la candidatura alla Camera dei deputati nella circoscrizione Campania 1, dove fu collocato tra i capilista, maturando però l'ennesima delusione sul fronte politico.  Nel marzo 2013 fondò l’associazione culturale “Europa Nazione”, che ripropone le tematiche da sempre sostenute circa la necessità di dar vita agli “Stati Uniti d’Europa”.

ORIGINI FAMILIARI

I Lavorgna costituiscono un ceppo familiare autoctono dell’area Osco-Sannita che si dipana nella Valle del Titerno. Si deve a Filippo Lavorgna la fondazione di San Lorenzello, nell’anno 865 D.C. Il cognome, di antica matrice germanica2, lascia presagire che i progenitori di Filippo siano entrati in Italia nel 568 D.C. al seguito di re Alboino il longobardo, per poi insediarsi nella città romana di “Telesia”. Ivi dimorarono fino all’864, anno in cui scamparono miracolosamente all’eccidio perpetrato dell’emiro di Bari, Seodan il saraceno, che era solito avventurarsi nelle zone interne della Campania per depredarle. Con gli altri pochi profughi, i Lavorgna ripararono a nord, occupando le grotte del “Monte Eribano”, già presente nelle cronache di Livio e Polibio quale teatro della Seconda Guerra Punica, alle cui pendici fu poi fondata San Lorenzello3.
Il padre di Lino, Lorenzo, (San Lorenzello, 1920-2003), è stato un produttore vinicolo e collaboratore della Montecatini, (poi Montedison) per la sperimentazione dei nuovi anticrittogamici ed erbicidi. Nel corso della seconda guerra mondiale ha combattuto in Africa e rimase gravemente ferito mentre si recava in moto da el-Aziza a Tripoli. La madre, Giuseppina Federico, (San Lorenzello, 1924-2014), giovanissima fu assunta dal Ministero delle corporazioni e assegnata alla sede di Benevento. Nel 1943 si dimise e iniziò un lunga e brillante carriera di insegnante. Fin quando nel paesello non venne costruito il primo edificio scolastico, la scuola elementare era ubicata proprio nell’abitazione di Giuseppina e Lorenzo.

Lino ha una sorella, Annalisa, nata nel 1966, consigliere comunale a San Lorenzello dal 1996 al 2011. La prima sorella, Pasqualina, morì a pochi giorni dalla nascita, nel 1950. Il fratello Luigi, nato nel 1957, perse la vita in un incidente stradale il 14 giugno 1975.

LAVORO

Lino Lavorgna ha iniziato a lavorare giovanissimo come consulente finanziario, presso la sede Fideuram di Napoli. Nel 1978, dopo una breve esperienza come agente immobiliare, vinse un concorso presso l’allora Ministero delle poste e telecomunicazioni. Nel 1980 vinse un secondo concorso bandito dal Ministero dell’interno e prese servizio presso la questura di Siena, in qualità di direttore dell’ufficio economato, per poi curare ad interim anche l'ufficio stranieri.  Nel dicembre 1985 rassegnò le dimissioni in quanto gli fu negato il trasferimento a Napoli. Nello stesso anno, rispondendo a una semplice inserzione di lavoro, pubblicata sul quotidiano "Il Mattino", fu assunto dalla Banca della Provincia di Napoli e assegnato all'ufficio estero-merci. (Scoprì solo dopo che il suo selezionatore era stato il numero due di Sindona, presso il Banco Ambrosiano). Nel 1987 decise di dimettersi: il lavoro in Banca non gli piaceva e  non gli consentiva di coltivare i suoi interessi. Fece domanda di riassunzione alle Poste, che fu accettata. Nel 2017 è rimasto vittima di un feroce mobbing aziendale, alimentato da una dirigente prestatasi ad altrui giochi sporchi, fronteggiato con carattere e determinazione fino al dicembre 2018, quando, approfittando di una legge sulle pensioni appena varata, trasformò un evento negativo in una opportunità, rassegnando le dimissioni con quattro anni di anticipo rispetto alla nefasta legge varata all'epoca del governo Monti.

CULTURA – SPETTACOLO - STAMPA

Nel 1974 Lino Lavorgna fondò a Caserta l’ANSE (Associazione Nazionale Salvaguardia Ecologica), che propugnava metodiche nella tutela dell’ambiente avanguardistiche rispetto alle organizzazioni tradizionali, in sintonia con i dettami propugnati dal MIT (Massachusetts Institute of Technology). Durante la militanza nel MSI aderì anche ai “Gruppi Ricerca Ecologica”, diretti dal Biologo Alessandro Di Pietro, per molti anni apprezzato conduttore RAI.

Da sempre appassionato di fotografia e valente fotoamatore, nello stesso anno, con gli amici Pasquale Crupi e Mauro Nemesio Rossi, fondò a Casertavecchia il Circolo Fotografico “Il Borgo”, promotore di numerosi eventi culturali nazionali e internazionali.
Nel 1988 fondò l’Associazione Culturale Excalibur, ad Amalfi, suo rifugio preferito per inseguire “mito, leggenda, suggestione e magia”. L’Excalibur vanta, tra le  attività più rilevanti, la prestigiosa mostra internazionale sui “Ponti di Leonardo”, curata dal Prof. Carlo Pedretti.

Altra grande passione era il Teatro, soffocata, però, dalle sostanziali differenze tra la sua propensione artistica e quella che, invece, si andava affermando prepotentemente grazie alla massiccia ingerenza della politica. Amava produrre poco e bene, puntando sulle repliche di lunga durata, come avviene nel Nord Europa e negli USA. La tendenza, invece, favoriva produzioni di basso costo e bassa qualità, lucrose grazie ai contributi pubblici. Nel 1989, vista la difficoltà di produrre un’opera sulla quale aveva lavorato duramente per oltre un anno, la trasposizione in prosa della tetralogia wagneriana, abbandonò il teatro, dedicandosi prevalentemente alla televisione e allo spettacolo “leggero”, cimentandosi anche come presentatore e organizzatore di eventi di moda. Dal 1991 al 1994 ha diretto una piccola emittente televisiva, “Teledue”, ubicata a Nola.

L’attività giornalistica iniziò nel 1972, come corrispondente de “Il Secolo d’Italia”. Successivamente ha collaborato con molti periodici Regionali: “Il Settimanale”, “Il Gazzettino”, “Napoli Notte”, “Opinioni”, "Albatros", scrivendo anche saltuariamente su “Il Roma”, “Gazzetta di Caserta” e altri organi d’informazione, tra i quali i settimanali nazionali “SI’” e “Radiocorriere TV”. 
Dal 2015 collabora col mensile "CONFINI", occupandosi precipuamente di storia, scenari globali e ovviamente di dottrina europea; dal 2019 collabora anche con la testata generalista ONDAZZURRA
Lino Lavorgna è anche autore del romanzo “Prigioniero del Sogno” e di un balletto: “Fata per Amore”.

In qualità di attore ha recitato nel film “Come sinfonia” diretto da Ninì Grassia (Il film su "Vimeo). Nel 2006 è stato aiuto-regista di Mariano Iodice nel docufilm “Codice Egizio”.

IL PENSIERO POLITICO

Una corretta definizione del pensiero politico di Lino Lavorgna non può prescindere da una disamina del concetto di “destra”, non avendo egli mai rinunciato a definirsi, sia pure solo convenzionalmente, un uomo di destra, anche se la sua visione di una destra moderna, sociale ed europea ha poco a che vedere con le destre che abbiamo conosciuto dai tempi della Rivoluzione Francese ai giorni nostri. In Italia, per esempio, essa prende corpo ai tempi di Cavour, per poi inglobare anche i liberali, che altrove si collocavano prevalentemente a sinistra. Lino Lavorgna ha combattuto fieramente il comunismo, ma ha sempre sostenuto che il vero cancro della società è rappresentato dal liberismo e dal liberalismo economico.

Il fascismo, che nasce per volontà di un ex-socialista, assume connotazioni che lo qualificano di destra o di estrema destra e nel MSI, come noto, era molto forte il retaggio del ventennio. Proprio lo studio del fascismo, che per lui era già negli anni Settanta un'epoca da storicizzare, a differenza dei nostalgici, che sognavano una impossibile e improponibile riproposizione politica, sia pure sotto diverse forme, lo indusse ad approfondire gli scenari alla fonte di ogni potere,  punto nevralgico della sua corposa queste.

La destra post-bellica si dipanava in rivoli molto articolati, non facilmente esplicabili e a volte addirittura contraddittori: vi erano i fascisti duri e puri, i monarchici, i post-fascisti nostalgici, i conservatori, i tradizionalisti, i nazionalisti e persino dei liberali. In questo coacervo di correnti troneggiava la figura egemonica e carismatica di Giorgio Almirante, che riuscì, non senza fatica, a conciliare l’inconciliabile. La confusione, però, era massiccia e generava tensioni e incomprensioni tra i fautori di un anacronistico nostalgismo e coloro che paventavano una “Nuova Destra”, visti da Lino con simpatia e attenzione, perché capaci di un approccio più moderno e meno condizionato dal passato, soprattutto dal punto di vista culturale. In chiave scientifica si incominciarono a mettere in discussione i dogma dell’anti-evoluzionismo e dell’anti-relativismo; a creare i presupposti per un rapporto più armonico e costruttivo tra scienza e fede; a guardare alla tutela dell'ambiente con prospettive più serie e incisive rispetto all'ecologismo festaiolo e improduttivo praticato da tante associazioni, denunciando con veemenza i rischi del nucleare e mettendo alla berlina soprattutto gli scienziati che, con l'autorevolezza scaturita dal proprio ruolo, negavano i rischi per disorientare le masse, intascando laute prebende dalle multinazionali di cui si rendevano complici. Dirompente, poi, dal punto di vista propositivo, fu la lenta ma inesorabile abiura del nazionalismo, che da valore assoluto incominciò a essere considerato il male assoluto. È in quegli anni che Lino Lavorgna conia la frase che poi diventerà un ritornello nel suo incedere lungo i sentieri della vita: “Nessun essere umano ha colpe o meriti per dove nasce, ma solo colpe o meriti per come vive”. L’europeismo, quello vero, che propugna l’Europa dei popoli in antitesi all’Europa dei mercanti, prende corpo in maniera sempre più consistente. In economia, invece, i principi del Corporativismo, sia pure adeguati alle esigenze di un mondo in profonda evoluzione, continuavano a essere visti come una valida antitesi sia alla deriva capitalista sia a quella marxista.

La destra di Lino Lavorgna, pertanto, è una destra europea che rifugge dai rigurgiti nazionalisti, guarda all’uomo e alla sua straordinaria capacità di “essere faro” e si proietta in una dimensione meta-politica, di non facile digestione e quindi difficilmente traducibile in contesti che necessariamente devono conciliare i presupposti etici con le esigenze di una massa soggiogata da chi ha tutto l'interesse a mantenerla in uno stato di subalternità culturale, per meglio gestirla.

Dal punto di vista filosofico il pensiero di Lino Lavorgna poggia su quattro pilastri, che danno corpo a quella figura di “cavaliere errante” scelta come simbolo (e qui mi sia concessa una digressione a me cara: “come Avatar”)4 del suo divenire: “Il retaggio ancestrale” – “La tradizione che guarda al futuro” – “L’uomo che avanza e si distingue dal branco” – “La volontà di azione quale stimolo primario per intervenire nella Storia (L’Idea che si trasforma in azione). Il primo pilastro costituisce, a mio avviso, la parte più interessante del pensiero lavorgniano, perché si colloca in uno spazio nuovo rispetto a quelli canonici e ben consolidati che si sono affermati nel corso dei secoli. Ancora oggi, ad esempio, è ben netta la dicotomia tra le varie scuole filosofiche (e soprattutto psicologiche) sulla natura dell’individuo. Già Cartesio sosteneva che alcune idee fossero innate, mentre Hobbes e Locke vedevano nella sola esperienza l’unico processo in grado di sviluppare e organizzare la mente umana. Col passare dei secoli la dottrina innatista è stata progressivamente ridimensionata, lasciando lo spazio a scuole di pensiero che, sia pure con metodi diversi, davano ampio risalto, quando non esclusivo, al condizionamento ambientale.
La sintesi lavorgniana, invece, analizza in modo più composito il processo mentale e comportamentale dell’individuo, infondendo una rilevante importanza al retaggio ancestrale, che ha molti punti in comune con l’innatismo cartesiano. Per Lavorgna l’individuo porta nel suo DNA non solo i fattori ereditari scientificamente conclamati, ma anche una sorta di influsso caratteriale. Questo retaggio ancestrale, però, non si manifesta in modo uniforme in tutti gli individui e il condizionamento ambientale, in moltissime circostanze, sicuramente maggioritarie, è in grado di annichilirlo totalmente, impedendo che esso possa affiorare5
Nella “Tradizione che guarda al futuro” ripone la sua weltanschauung, che si dipana dal passato al presente, proiettandosi verso il futuro. Per Lavorgna l’errore più grave che si commette oggigiorno è quello di associare il progresso scientifico al progresso umano e ritenere che l’uomo diventi “migliore” secolo dopo secolo, grazie anche agli strumenti che egli stesso crea. Egli ritiene, invece, che “l’evoluzione della qualità umana sia del tutto indipendente dal progresso scientifico e si sviluppa con una sinusoide che assume connotazioni diverse nei vari periodi dell’epopea umana". L’uomo contemporaneo, per esempio, è un uomo sostanzialmente decadente, incapace di grandi idealità e incline più all’apparire che all’essere. Sono tante le cause di tale decadimento e tra le più pregnanti vi è il sostanziale fallimento dell’Illuminismo, la cui propensione razionalista non è riuscita a plasmare la natura irrazionale dell’essere umano, riuscendo solo a creare delle convenzioni ipocrite che regolano la vita degli individui, fino a stravolgerla e sconvolgerla6.  La Tradizione, quella più nobile e pura, è l’alimento da cui attingere risorse primarie per orientare le vele verso il futuro, avendo la consapevolezza, tuttavia, che vi sono processi non esauribili nell’arco temporale di una vita, ma che non per questo vanno disattesi.
“L’uomo che avanza e si distingue dal branco” è l’individuo che si eleva e qui è facile cogliere il forte condizionamento del pensiero nicciano, arricchito dalle analisi metapolitiche di Spengler,
Jünger e di tutti gli autori che hanno alimentato la sua formazione giovanile. “Nulla è più bello dell’uomo quando avanza”, afferma Jean Cau nel suo: “Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo”. Lino Lavorgna il fascino dell’uomo che avanza e “fa” la Storia lo avverte tutto e lo ricerca in tutte le epopee storiche e anche nelle leggende. Non è un caso, infatti, che sia un appassionato cultore del Ciclo Bretone e della letteratura tolkeniana.

Il concetto di idea che si trasforma in azione è strettamente legato, naturalmente, ai precedenti, perché di essi è logica conseguenza. Il pensiero che resta tale, per quanto brillante, non contribuisce a migliorare il mondo. Bisogna lottare per affermarlo, concependo “la lotta come gioco, il gioco come vita, la vita come lotta”. E non importa se ciò impone di correre dei rischi, secondo il vecchio monito di Ezra Pound, in virtù del quale: “Se un uomo non è disposto a correre qualche rischio per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla o non vale nulla lui”.

 

NOTE

1) Gaetano Rasi fu ministro per un giorno nel 1° Governo Dini. Lino Lavorgna aveva già pubblicato il suo primo articolo “europeista” nel 1977 proprio nella prestigiosa “Rivista di Studi Corporativi”, diretta da Rasi.

2) Nel sito personale di Lino Lavorgna, www.lavorgna.it viene presa in considerazione una possibile matrice celtica, anche se resta più accreditata quella Longobarda.
3) Oggi "Mont'Erbano".

4) Avatar (non c’entra nulla il film di James Cameron) è un romanzo di Theophile Gautier dal quale chi scrive questa minibiografia realizzò un sceneggiatura che si sarebbe dovuta tradurre in film. Come protagonista fu scelto proprio Lino Lavorgna. Il progetto naufragò per colpa dei produttori, che volevano stravolgere la trama.

5) Lino ha più volte sostenuto che i suoi ricordi d’infanzia rappresentano, per lui, la “prova scientifica del suo assunto” e la testimonianza delle sue radici. Senza avere, ovviamente, alcun presupposto culturale di supporto, data l’età, quando studiava la storia, contrariamente alla totalità dei suoi compagni, “sentiva” una maggiore attrazione per Sparta, ad esempio, rispetto ad Atene. Idem nel confronto tra Costantino e Massenzio. Ricorda con nitidezza il disagio provato nel sentire parlare di Costantino come di un “grande imperatore”, mentre si chiedeva quale Dio potesse sostenere un assassino spietato in una contesa bellica. 

6) Vedere anche la prefazione di Nello Di Costanzo al romanzo “Prigioniero del sogno”